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Perché il Nobel per la fisica è andato alle onde gravitazionali

L’annuncio da Stoccolma: a Barry Berish, Rainer Weiss e Kip Thorne, le “menti” dell’interferometro Ligo, il Nobel per la fisica per la rilevazione sperimentale delle onde gravitazionali

Perché il Nobel per la fisica è andato alle onde gravitazionali

Era nell’aria, inutile negarlo. Che quella delle onde gravitazionali fosse una delle scoperte scientifiche più importanti del secolo non c’erano mai stati dubbi. Tanto che in molti erano certi che le menti dell’interferometro Ligo, il sosfisticatissimo strumento che, per l’appunto, ha permesso la prima rivelazione delle onde gravitazionali, si sarebbero aggiudicate il premio Nobel per la fisica già lo scorso anno.

Ma, come sappiamo, nel 2016 le cose andarono diversamente, probabilmente per una questione di tempistica: la pubblicazione ufficiale della scoperta avvenne l’11 febbraio, pochi giorni dopo la scadenza per la presentazione della lista preliminare dei candidati, fissata al 31 gennaio. E dunque non fu Nobel.

I nomi
Evidente, comunque, che sarebbe stata solo questione di tempo. E infatti quest’anno la commissione di Stoccolma ha decretato, implacabilmente, di assegnare la più alta onorificenza scientifica ai tre nomi su cui puntavamo da tempo: Reiner Weiss, tedesco, classe 1932, del Massachusetts Institute of Technology (1/2 del premio), Barry Berish, statunitense, classe 1936, del California Institute of Techonology (1/4 del premio), e Kip Thorne, statunitense, classe 1940, del California Institute of Techonology (1/4 del premio), che si sono meritati il Nobel “per i decisivi contributi al rivelatore Ligo e all’osservazione delle onde gravitazionali”.

In misura diversa, Weiss, Berish e Thorne hanno fondato, quasi 25 anni fa, l’interferometro Ligo, convincendo la National Science Foundation statunitense che valeva la pena investire parecchi dollari in un apparato sperimentale sofisticatissimo, che sarebbe dovuto essere in grado di misurare variazioni inferiori alla grandezza di un nucleo atomico su distanze dell’ordine dei chilometri.

Dei tre scienziati, Thorne è il teorico: collega e amico di Stephen Hawking, è grazie ai suoi studi sulla forza delle onde gravitazionali e su come possiamo cercarne gli indizi sulla Terra che è stato possibile sviluppare l’esperimento Ligo. Berrish Weiss (assieme a tanti altri, tra cui in particolare un team di astronomi australiani, uno di matematici di Mosca, un’équipe di ricercatori di Birmingham, Glasgow e Cardiff e ovviamente i nostri scienziati dell’esperimento Virgo, a Cascina, in forza all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) hanno coordinato, invece, l’ideazione dell’apparato sperimentale.

Cent’anni di onde
La storia delle onde gravitazionali comincia un secolo fa. Il 25 novembre 1915, per la precisione, quando Albert Einstein presentò all’Accademia prussiana della scienze una equazione di campo che legava tra loro la velocità della luce, la forza gravitazionale e la geometria dello spazio-tempo (cioè la struttura dello tessuto a quattro dimensioni, tre spaziali e una temporale, per l’appunto, di cui sembra essere composto il nostro Universo).

Secondo tale equazione, che è il nocciolo della teoria della relatività generale, la forza gravitazionale è la manifestazione della curvatura dello spazio-tempo, causata dalle masse che vi sono appoggiate, proprio come farebbero dei pesi appoggiati su un lenzuolo teso. Dal punto di vista matematico, le onde gravitazionali sono un’entità che discende direttamente dall’equazione di campo; fisicamente, invece, possiamo immaginarle come una perturbazione che si propaga nello spazio-tempo, modificandone la geometria, un po’ come un’onda che si genera e si propaga in uno specchio d’acqua modificandone localmente pressione e densità. O, meno intuitivamente, come un’onda elettromagnetica che propagandosi modifica localmente il valore del campo elettromagnetico nello spazio e nel tempo.

Scontro tra titani
Sempre stando alla teoria, ogni corpo dotato di massa (una stella o un buco nero, per esempio) emette una sorta di radiazione gravitazionale, che si propaga, per l’appunto, sotto forma di onde. O, più precisamente: le onde gravitazionali sono prodotte ogni volta che ci sono grandi masse in accelerazione (per esempio due stelle che ruotano, o due buchi neri che si fondono) e che quindi cambiano localmente la struttura dello spazio-tempo.

Come le abbiamo trovate
Identificare le onde gravitazionali è tutt’altro che semplice – è proprio per questo, d’altronde, che ci sono voluti tanti anni e un dispiegamento di forze quasi senza precedenti nella storia della scienza. Il fattore principale che rende le onde gravitazionali così sfuggenti è il fatto che la forza gravitazionale è estremamente più debole delle altre forze fondamentali della natura (elettromagnetica, nucleare forte e nucleare debole) e dunque, perché produca effetti misurabili, bisogna che entrino in gioco corpi molto massivi e che si muovono con grandi accelerazioni (come, per l’appunto, i buchi neri).

Ma c’è un altro elemento di complessità, ancora più sottile e subdolo. Si chiama principio di equivalenza: dal momento che le onde gravitazionali sono la propagazione di perturbazioni dello spazio-tempo, e noi stessi siamo immersi nello spazio-tempo, tutti gli strumenti utilizzati per la misurazione sono soggetti alla stessa perturbazione e dunque, in linea di principio, inefficaci.

Poco chiaro? Viene in aiuto, ancora una volta, il paragone con un lenzuolo, o un foglio: immaginiamo che le masse che hanno prodotto le onde gravitazionali siano due punti disegnati su un foglio. Le onde, modificando la curvatura del foglio, modificherebbero anche la distanza dei punti; ma noi non potremmo rendercene conto perché anche il righello sarebbe distorto. I fisici hanno pensato allora di utilizzare allora l’unico righello che non si distorce mai: la luce, la cui velocità (e anche questo lo si deve a Einstein) è sempre uguale a 300mila chilometri al secondo.

L’interferometro Ligo (e l’italiano Virgo) funzionano proprio sfruttando questo principio: inviano dei raggi di luce lungo due bracci di una L, li fanno riflettere da uno specchio e ne studiano i tempi di arrivo. Se i raggi di luce non arrivano nello stesso istante, vuol dire che lo spazio che hanno percorso è diverso. Perché è stato distorto, per l’appunto, dal passaggio di un’onda gravitazionale.

Il poker italiano
Gli interferometri terrestri, finora, hanno individuato ben quattro segnali di onde gravitazionali. L’11 febbraio 2016, il 15 giugno 2016, il 4 gennaio 2017e sei giorni fa. Un’osservazione, l’ultima, particolarmente importante, in quanto si tratta della prima volta che tutti e tre gli interferometri (i due statunitensi di Ligo e quello italiano di Virgo) hanno rilevato simultaneamente il segnale.




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