Un gruppo ricercatori è riuscito a controllare l’elusiva “particella” del suono, il fonone. Anche se i fononi – le più piccole unità di energia vibrazionale che compongono le onde sonore – non sono materia, possono essere considerati particelle, allo stesso modo in cui i fotoni sono considerati particelle di luce. I fotoni di norma immagazzinano informazioni in prototipi di computer quantistici, che mirano a sfruttare gli effetti della meccanica quantistica per ottenere una potenza di calcolo senza precedenti. Ma l’uso del suono potrebbe avere dei vantaggi, anche se richiederebbe la manipolazione dei fononi su scale molto fini.
Fino a poco tempo fa gli scienziati non avevano questa possibilità; la sola rilevazione di un singolo fonone distruggeva questa particella. I primi metodi prevedevano la conversione di fononi in elettricità in circuiti quantistici chiamati qubit superconduttori. Questi circuiti accettano energia in quantità specifiche; se l’energia di un fonone è quella giusta, il circuito può assorbirlo, distruggendo il fonone ma dando una lettura dell’energia della sua presenza.
In un nuovo studio, gli scienziati del JILA (una collaborazione tra National Institute of Standards and Technology e Università del Colorado a Boulder) hanno sintonizzato le unità di energia del loro qubit superconduttore in modo che i fononi non venissero distrutti. Anzi, i fononi hanno accelerato la corrente nel circuito, grazie a uno speciale materiale che ha creato un campo elettrico in risposta alle vibrazioni. In questo modo, gli sperimentatori hanno potuto rilevare la variazione di corrente causata da ciascun fonone.
“Di recente nell’ambito del controllo degli stati quantistici della luce ci sono stati molti, impressionanti successi grazie all’uso di qubit superconduttori. E noi eravamo curiosi: che cosa si può fare con il suono che non si può fare con la luce?”, dice Lucas Sletten dell’Università del Colorado a Boulder, autore principale dello studio pubblicato di recente su “Physical Review X”. Una differenza è la velocità: il suono viaggia molto più lentamente della luce. Sletten e colleghi ne hanno approfittato per coordinare le interazioni circuito-fonone che hanno accelerato la corrente. Hanno intrappolato i fononi di particolari lunghezze d’onda (chiamati modi) tra due “specchi” acustici che riflettono il suono, e il tempo relativamente lungo che il suono impiega per fare un viaggio andata e ritorno ha permesso la coordinazione precisa. Gli specchi erano separati dal diametro di un capello: un simile controllo della luce avrebbe richiesto specchi separati da circa 12 metri.
La “lentezza” del suono, inoltre, permette agli sperimentatori di identificare i fononi di più di un modo. Tipicamente, dice Sletten, i computer quantistici aumentano la loro capacità con qubit superconduttori aggiuntivi. Ma avere solo un qubit che elabora le informazioni con più modi potrebbe portare allo stesso risultato.
“È una pietra miliare”, afferma Yiwen Chu, fisica dell’ETH di Zurigo, che non è stata coinvolta nello studio. Esperimenti analoghi con la luce sono stati un primo passo verso la maggior parte del lavoro attuale sui computer quantistici, osserva. Applicazioni simili per il suono sono lontane, però; tra le altre cose, gli scienziati devono scoprire come mantenere in vita i fononi molto più a lungo di quanto non possano attualmente: circa 600 nanosecondi. Alla fine, tuttavia, la ricerca potrebbe aprire nuovi percorsi nel calcolo quantistico.
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L'originale di questo articolo è stato pubblicato su Le Scienze.